Scritto da Dott.ssa Carla Pellegrini e Dott.ssa Marzia Galimberti
Di psicoterapia e salute mentale, soprattutto dopo il periodo del Covid-19, ne abbiamo sentito parlare sempre più spesso.
Ma cosa succede effettivamente quando si intraprende una psicoterapia?
Quali sono gli effetti di un percorso psicoterapeutico? A cosa corrisponde il cambiamento che possiamo percepire nel nostro comportamento e nel nostro stato psicofisico?
Le neuroscienze hanno cercato di dare risposta proprio a questa domanda.
Quando si parla di neuroscienze ci si riferisce all’ insieme di discipline (neurofisiologia, anatomia, psicologia, biologia, chimica,…) che studiano il sistema nervoso e i processi in esso coinvolti.
Molti studi neuroscientifici negli ultimi anni si sono posti l’obiettivo di indagare l’efficacia della psicoterapia a livello cerebrale e neurofisiologico, osservando in primis il coinvolgimento di due processi:
- Plasticità cerebrale;
- La relazione tra amigdala e corteccia prefrontale.
Neuroplasticità
Un primo concetto da introdurre quando si parla delle risorse e delle capacità del nostro cervello, è quello di plasticità neuronale.
Con il termine neuroplasticità si fa riferimento alla capacità del nostro cervello di modificare la sua struttura e funzionalità, non solo durante lo sviluppo, ma anche sulla base dell’esperienza.
Gli studi di Eric Kandel ci permettono di comprendere come i fattori ambientali possano influire sulle connessioni neuronali, attraverso la formazione di nuove sinapsi e il consolidamento o la ristrutturazione di circuiti neuronali esistenti.
La psicoterapia si inserisce, all’interno di questo concetto, come strumento di cambiamento che parte dalla relazione tra individuo e terapeuta. È infatti all’interno di questa relazione che la persona può sperimentare nuove modalità di pensiero e di interazione con l’ambiente che lo circonda.
Amigdala e corteccia prefrontale
Altri studi di neuroimmagine, inoltre, hanno riscontrato differenze di attività neuronale in aree cerebrali particolarmente interessanti: in particolare l’amigdala e la corteccia prefrontale. L’amigdala è quella piccola parte del nostro cervello fortemente coinvolta nelle emozioni che sperimentiamo quotidianamente, si occupa di attribuire una determinata valenza emotiva agli stimoli che incontriamo. La corteccia prefrontale, invece, ha una funzione regolatrice e di controllo. Le ricerche neuroscientifiche hanno evidenziato come ci sia una particolare attivazione dell’amigdala soprattutto in pazienti che presentano disagi legati all’ansia e a disturbi dell’umore.
Quando parliamo dei disturbi d’ansia facciamo riferimento alla classificazione adottata dal DSM-5-TR:
- Disturbo d’ansia da separazione
- Mutismo selettivo
- Fobia specifica
- Disturbo d’ansia sociale
- Disturbo di panico
- Agorafobia
- Disturbo d’ansia generalizzata
Ci sono poi:
- I disturbi d’ansia indotti da altra condizione medica
- I disturbi d’ansia indotti da sostanze o farmaci
- I disturbi d’ansia con altra specificazione
I disturbi dell’ umore sono invece caratterizzati da alterazioni dell’ umore che suscitano disagio psicologico nella persona:
- Disturbi unipolari (come la depressione e la distimia)
- Disturbi bipolari
La psicoterapia agisce, attraverso un lavoro di consapevolezza e gestione delle emozioni, favorendo un aumento dell’attivazione della corteccia prefrontale e quindi della sua funzione inibitoria rispetto all’amigdala.
Questi e molti altri studi ci permettono di comprendere meglio i processi sottostanti il cambiamento psicoterapeutico e la sua complessità e dinamicità all’ interno della relazione tra terapeuta e paziente.
Bibliografia
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Association, A. P. (2022). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders: DSM-5-TR.
Articolo a cura delle Dott.sse Carla Pellegrini e Marzia Galimberti
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