Quanto dura una psicoterapia?

In questo articolo prendiamo in considerazione la durata delle psicoterapie soffermandoci su alcuni aspetti discussi e condivisi dalla linee guida espresse sull’argomento.

È giustamente, una delle domande che ci vengono poste più frequentemente  durante i colloqui preliminari che svolgiamo nel nostro Centro di Psicologia clinica Buonarroti.

Solitamente rispondiamo con un ‘dipende”, favorendo così un ulteriore e condiviso approfondimento del lavoro che in psicoterapia viene intrapreso.

Ma cosa dicono le ricerche, le linee guida internazionali sulla durata della terapia ? Vediamone alcuni aspetti.

Il contratto terapeutico

È fin da subito importante stabilire quello che viene detto contratto terapeutico. Si tratta di una serie di regole, accordi, specifiche che riguardano sostanzialmente i due contraenti, vale a dire i due soggetti che condivideranno un tragitto, un percorso molto particolare e trasformativo legato al miglioramento di alcuni aspetti destabilizzanti, piuttosto che sintomi di cui uno dei due ( il paziente) è portatore. Dall’altra parte c’è un altro soggetto ( il/la terapeuta) che avrà il compito di tenere il timone ed indicare la rotta da seguire e vigilare affinché tutto proceda per il meglio.

L’accordo tra i due viene detto, appunto, contratto terapeutico ed esprime aspetti quali il luogo, la durata della singola seduta, i modi di lavorare,cosa accade quando si salta una seduta o vi è un intoppo, i costi, la lunghezza del trattamento, le modalità di verifica di come sta andando il percorso,  insomma tutto ciò che fa da cornice e definisce le condizioni per poter lavorare serenamente e proficuamente.

Mai, come nell’ambito della psicologia, il contratto terapeutico assume una posizione centrale. La particolarità e la specificità di una psicoterapia sono unici; ecco perché si deve lavorare con cura e attenzione soprattutto durante i primi colloqui, la cosiddetta fase preliminare, per definire il meglio possibile, l’obiettivo da raggiungere e le modalità con cui ottenerlo.

Attraverso la costruzione di un autentico grado di sintonizzazione ed una buona relazione tra paziente e terapeuta infatti si intraprende la via del cambiamento e della risoluzione dei propri sintomi.

Una metafora convincente: la psicoterapia come un farmaco ad azione retard.

La terapia psicologica soprattutto quella psicodinamica sembra avere un’azione “a lento rilascio“, in quanto mette in moto un processo interno di riflessione su se stessi che continua nel tempo.

Detto in altri termini, i risultati non sono immediati, “ad interruttore”, ma presuppongono un processo che, partendo da un’esplorazione del vissuto del paziente, passi dapprima attraverso una chiarificazione ulteriore, poi per una sua eventuale elaborazione, fino ad esprimere per la persona, una ri-strutturazione di un nuovo sistema maggiormente coerente e funzionale.

Ma esattamente quanto durano allora  le terapie?

Le linee guida sulla durata delle psicoterapie  condivise dalla comunità scientifica internazionale, definiscono ‘breve” un percorso di almeno 25 sedute spalmate in un lasso di tempo che va, da un minimo di 2-3 mesi ad un massimo di 5-6 mesi. Nella maggior parte dei casi, viene svolta una seduta una volta  a settimana per circa 6 mesi. In questo caso è importante darsi degli obiettivi che per la durata di queste psicoterapie, in genere è focalizzata al risolvere i sintomi che molto spesso accompagnano la richiesta di cura. Dobbiamo da subito ricordare che la psicoterapia breve non è indicata per pazienti con una storia di relazioni interpersonali problematiche o con una diagnosi di disturbo di personalità che, per arrivare a cambiamenti dinamici stabili,  normalmente richiedono trattamenti superiori alle 35 sedute.

Inoltre se un pz non e in grado di circoscrivere il suo problema a un tema dinamico focale e più circostanziato, anche in questo caso la psicoterapia  breve non è indicata.

Obiettivi a lunga durata

I risultati di una psicoterapia di lunga durata, dovrebbero essere quelli di rendere visibile la correlazione che hanno gli eventi più disfunzionali che avvengono nelle relazioni attuali e le esperienze precedenti che il soggetto ha avuto con le figure primarie di attaccamento (genitori e caregiver).

Quanto cioè siamo stati influenzati e condizionati da quegli stili di attaccamento, quanto li abbiamo fatti nostri, o al contrario ce ne siamo distaccati?

Spesso il lavoro da fare è proprio quello di comprendere ad un livello più profondo, quanto, più che del padre e la madre reali, abbiamo interiorizzato della loro funzione psichica, integrando nella nostra mente il maschile, il femminile, il materno e il paterno e le loro rappresentazioni.

Un cambiamento importante ha bisogno di tempi, assestamenti, reinquadrature, copioni nuovi. Tutto ciò spesso procede per prove ed errori, rotture e riparazioni, in un clima trrapeutico che ha bisogno di uno spazio vitale dove poter pensare, sognare, progettare, provare ad immaginare il proprio futuro.

È quello che si dice acquisire una nuova funzione, se volete un efficace strumento analitico che ci deriva dal fatto di avere svolto un buon percorso psicoterapeutico.

Ma come si fa a capire se la psicoterapia sta funzionando?

Ci sono alcuni indicatori, diremmo soggettivi, che ci possono aiutare a capire dove siamo.

Spesso lo stato d’animo con cui si finisce una seduta può rappresentare un indice importante tramite cui è possibile capire se la psicoterapia sta procedendo efficacemente. Quando la coppia psicoterapeuta-paziente sta lavorando bene, la seduta lascia nel paziente un senso di sollievo, di alleggerimento, di speranza o di rinnovata fiducia. Tuttavia può accadere che anche nell’ambito della psicoterapia si attraversino momenti difficili, di perdita della speranza, perfino di incomprensione o di conflitto. Quando la psicoterapia funziona bene, sono proprio questi momenti a rivelarsi inaspettatamente i più cruciali e produttivi per la buona riuscita del trattamento. In questi momenti un atteggiamento di apertura e di autenticità da parte dello psicoterapeuta spesso è determinante nel produrre il cambiamento.

Gli strumenti della psicoterapia

Accanto al colloquio psicologico, perno, motore di ogni psicoterapia, vi possono essere altri strumenti utilizzati per esplorare sia il vissuto che il mondo interno del paziente. Si tratta di test psicologici validati, che solo lo psicologo può usare. Tali strumenti possono essere utili in varie fasi della terapia. Alcuni, in particolare quelli definiti test proiettivi, sono una chiave per accedere a parti di se’ che non sempre è facile esplorare con il solo colloquio. Diciamo che possono essere definiti una sorta di passepartout per accedere alle parti di noi che non sempre riusciamo a vedere, ma che esistono e condizionano il nostro essere.

Questi dunque sono gli strumenti del mestiere che è opportuno sottolineare, non servono tanto per etichettare o catalogare qualcuno, ma principalmente per avere ulteriori spunti e tracce da cui partire per approfondire le tematiche sottese.

E il web?

Sempre più spesso anche gli psicoterapeuti utilizzano un sito web per promuovere la propria attività. Questo dovrebbe favorire l’opportunità per dare approfondimenti e orientare le persone verso un eventuale percorso di cura.

Al di là della veste grafica, delle immagini scelte e naturalmente dei contenuti, un criterio da seguire sono i curricula, le specializzazioni e gli anni di iscrizione agli albi professionali degli psicoterapeuti interessati.

Inoltre, per alcuni, sono importanti fonti di conoscenza, eventuali pubblicazioni di articoli, tesi, collaborazioni, ricerche, libri e tutto ciò che possa dare un’indicazione più approfondita e consona del professionista interessato.

Bibliografia

Gabbard G. Psichiatria Psicodinamica Quinta edizione basata sul Dsm5 (2015) Raffaello Cortina editore

Steinert, C., Munder, T., Rabung, S., Hoyer, J., & Leichsenring, F. (2017). Psychodynamic Therapy: As Efficacious as Other Empirically Supported Treatments? A Meta-Analysis Testing Equivalence of Outcomes. American Journal of Psychiatry.

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